Il Rapporto Symbola-Unioncamere fotografa la transizione green e digitale ponendo le basi per una possibile rivoluzione culturale L’istantanea colta dal Rapporto 2022 di Fondazione Symbola e Unioncamere su questa ampia materia in movimento che comprende vecchie criticità e nuove ferite, soprattutto occupazionali, inferte dagli anni della pandemia oltre a fornire una utile mappa del settore, permette di enucleare alcuni principi di fondo utili per orientare decisori pubblici e privati, resi espliciti in saggi che suggeriscono di passare “dalle pratiche alle politiche”, parlando di rivoluzione culturale e di approccio eco-sistemico in relazione alla transizione ecologica, odi collegare manutenzione a rigenerazione urbana, o, ancora, di individuare “i modi della creatività per l’innovazione e la competitività” attraverso la partecipazione attiva e cooperativa dei dipendenti all’interno delle organizzazioni. Il campo così si allarga dalle imprese culturali e creative in senso stretto all’economia “attivata da cultura e creatività” e, strategicamente, all’economia tutta. «Se circa un milione e mezzo di persone lavorano nella cultura osserva Sturabotti è interessante notare che un terzo di queste sono occupate in altri settori industriali e manifatturieri. La cultura va collocata al centro dà Sistema, perché alimenta una capacità immaginativa utile in ogni campo». Vanno prese dunque alla lettera le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, secondo cui «la cultura non è il superfluo: è un elemento costitutivo dell’identità italiana» e dobbiamo «fare in modo che divenga ancor di più una risorsa capace di generare conoscenza, accrescimento morale e un fattore di sviluppo economico». Ma perché ciò sia reso operativo, e al passo coi tempi, è proprio sull’idea di cultura, e su un suo radicale rinnovamento, che occorre Armando Massarenti hun’idea di cultura dinamica e moderna quella che emerge dal Rapporto «Io sono Cultura 2022», che contrasta con l’immagine più diffusa che ne hanno gli italiani. Sì, perché osserva il direttore di Symbola Domenico Sturabotti «ai cittadini del nostro paesèíaiSaiiiia’etiliiií’aqaìSénsare a qualcosa ehé C’è, Che Sta lì,’ à ‘Parte, staccata dalla vita reale e dagli oggetti quotidiani. Al contrario, i paesi del Nord Europa, secondo i dati di un’indagine recente, la vedono come uno strumento per evolversi, per costruire, maturare, affinare un punto di vista sul mondo che influenza stili di vita e di consumo. A ciò si lega il soft power esercitato a lungo dagli Stati Uniti attraverso il cinema e la musica, dallo stesso Made in Italy e più di recente dalla Corea del Sud. Con il New Bauhaus l’Europa oggi fa qualcosa di simile: affronta l’emergenza energetica con la cultura, costruendo un punto di vista sul mondo». Ed è proprio il variegato spettro delle imprese culturali e creative, descritto in 12 anni di Rapporti, che ci fa capire che “cultura”, anche in Italia, non è solo musei, o un patrimonio di beni artistici unico al mondo (che, infatti, va sì tutelato, ma soprattutto valorizzato, digitalizzato, e continuamente reinterpretato e rimesso in gioco), ma è design, architettura, disegno urbano, transizione ecologica, turismo, festival, musica, teatro, performing arts, radio, cinema, animazione, libro, fumetto, fotografia, artigianato, cultura materiale radicata nel territorio, moda, videogiochi, software, streaming, piattaforme online, blockchain, Nft, metaverso. concentrarsi. Ciò riguarda il modo stesso in cui i processi culturali e creativi vengono monitorati attraverso nuovi strumenti conoscitivi. Si insiste da tempo sulla necessità di superare vecchi steccati per rinnovare il nostro sistema educativo. Quelli disciplinari, per esempio. La scienza dei dati, una disciplina fortemente interdisciplinare, è al centro di un nuovo ambito di studi, i Cultural Analytics, cui è dedicato un capitolo, che studiale culture con gli strumenti della visualizzazione dei dati e della media art innovando al contempo i metodi statistici e sviluppando il pensiero critico. Ma ancora più profondamente interdisciplinare si è rivelato, negli ultimi anni, l’ambito delle neuroscienze cognitive, dalle quali e in particolare dagli studi di neuroestetica possia- mo cogliere un suggerimento per affrontare due problemi cruciali del nostro sistema educativo: la scarsa propensione a promuovere la pratica artistica, e lo svilimento della cultura scientifica in nome di un malinteso umanesimo antiscientifico. Due cose profondamente legate. È promuovendo una sensibilità estetica fin dalla più tenera età che si sviluppano al meglio le capacità cognitive che stanno anche alla base della comprensione della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche. La scienza ha bisogno di menti attive, giocose, curiose, aperte, dotate di spirito critico. Scienze, lettere e arti hanno molto in comune, e non a caso un tempo vi era una sola parola ars per descriverle. Dare spazio alla curiosità, alla creatività e all’immaginazione, per un nuovo umanesimo scientifico che apprezzi il valore intrinseco della cultura, dalla filologia alla fisica quantistica. Non è forse questo il modo più dinamico per rinnovarci all’insegna della nostra più autentica identità e tradizione?