Il Seminario estivo di Fondazione Symbola offre una lettura del percorso verso la transizione verde che siamo obbligati a intraprendere per la sopravvivenza nostra e del Pianeta. Non sarà un cammino semplice, proprio per questo vanno messi da parte ideologie e pregiudizi e ragionare di futuro
“Transizione verde e gusto del futuro. Per una nuova Italia”. La XIX edizione del Seminario estivo 2021 di Fondazione Symbola è stata aperta dal presidente della Camera di Commercio della Regione Marche, Gino Sabatini, con una constatazione positiva: «Cinque anni fa si iniziava a parlare di transizione ecologica, oggi abbiamo la fortuna di avere Vittorio Colao e Roberto Cingolani alla guida di due Ministeri (rispettivamente Innovazione tecnologica e Transizione digitale, e Transizione ecologica) che possono chiudere il cerchio per avere una nuova e bella Italia».
Cambia il rapporto tra ricerca e impresa
Con Maria Chiara Carrozza, presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, si entra subito nel vivo del tema. «Senza scienza e ricerca saremmo in grande difficoltà, le partnership pubblico-privato hanno permesso di sviluppare vaccini e terapie utili per il controllo della pandemia. La transizione verde chiede un cambio di paradigma. Per la prima volta si parla di produrre senza inquinare, nella quarta rivoluzione industriale entra la sostenibilità: coniugare lo sviluppo con la sostenibilità e fare della sostenibilità un’occasione di sviluppo saranno la grande sfida per la ricerca. Il CNR ha 8700 ricercatori che si confrontano su ricerca fondamentale, leadership industriale e innovazione sociale. Molti si occupano dei grandi ecosistemi, di biodiversità, di idrogeno: temi attuali sui quali il CNR è pronto a collaborare con il PNRR».
Per anni si è discusso del rapporto tra ricerca e impresa, oggi lo scenario sembra diverso e più aperto. Infatti, spiega Carrozza, «il CNR collabora con grandi imprese, corporate e microimprese. Sicuramente le PMI avranno difficoltà ad adattarsi ai nuovi contesti, il CNR deve aiutarle a riconnettersi con le grandi corporate per fare dei network italiani ed europei che siano in grado di raccogliere le sfide del futuro».
La forza delle aziende green
Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, delinea lo scenario della transizione verde nel contesto europeo: «L’Europa ha battuto un colpo. Prima della pandemia era partita con una scelta molto netta: puntare su coesione, transizione verde e digitale. Non è una scelta per rispondere ai pericoli ambientali o alle preoccupazioni dei giovani, è una scelta strategica in cui l’Italia ha molto da dire. Siamo la superpotenza europea dell’economia circolare: con il 79% di percentuale di riciclo sul totale dei rifiuti si risparmiano ogni anno 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e 63 milioni di tonnellate di emissioni di CO2. L’economia sta cambiando, o si guida o si subisce; ci sono i rischi di non fare bene, ma ancora peggio è non fare niente».
La transizione verde pone sicuramente dei problemi, ma dobbiamo guardare agli esempi positivi delle aziende che, imboccando la strada green, sono diventate più forti. Realacci cita il caso di Enel: con la guida di Francesco Starace, Enel è diventata il più grande produttore al mondo di fonti rinnovabili, è l’azienda più quotata nella borsa europea, crea occupazione. Se Starace non avesse fatto questa scelta, quanti posti di lavoro sarebbero stati persi? «Affrontare con coraggio la crisi climatica è necessario, ma è anche l’occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e più capace di futuro, come è scritto nel Manifesto di Assisi». Sono parole che abbracciano un concetto nuovo di sviluppo, di economia gentile, che vanno oltre le politiche ambientali. Realacci cita Edison: «Se fossimo ciò che siamo capaci di fare rimarremmo letteralmente sbalorditi», convinto che con le sue energie l’Italia può sbalordire l’Europa e il mondo, fondere storia e bellezza con l’innovazione e affrontare le sfide poste dalla crisi climatica.
La visione strategica della qualificazione urbana e del territorio
Regina De Albertis, presidente di Ance Giovani ritiene che il settore delle costruzioni abbia un ruolo chiave nella sostenibilità: «Siamo chiamati alla sfida di cogliere le opportunità del PNRR per innovare e cambiare passo guardando al futuro, ma è urgente dare risposte in tempi brevi. Il futuro è fatto di infrastrutture e città green. Il valore di un’impresa è connesso al valore che genera per il sistema e la collettività; la sostenibilità è un obiettivo congiunto, chi fa impresa sia protagonista del cambiamento. Le istituzioni, però, devono essere pronte a dialogare, non a creare ostacoli. Servono regole chiare, semplificazione e sburocratizzazione, digitalizzazione e innovazione dei processi: un Paese più semplice è possibile se risponde in tempi rapidi alle istanze del mercato. Le regole devono accompagnare il cambiamento ed essere più flessibili per favorire i processi di transizione verde che abbiano lo sviluppo sostenibile come valore fondamentale».
La parola d’ordine sia rigenerazione, in una nuova visione strategica della qualificazione urbana e del territorio, perché il degrado del territorio si accompagna al degrado sociale. Per essere artefici di un cambiamento sostenibile, le imprese che intervengono nel recupero delle aree degradate devono essere sostenute con incentivi e sconto degli oneri, ha sottolineato De Albertis. La filiera delle costruzioni è lunghissima, l’economia circolare può essere strategica anche in questo settore. Pubblico e privato siano alleati per raggiungere un obiettivo comune di sviluppo sostenibile in cui può essere determinante l’impiego di materiali innovativi che migliorano le performance tecniche.
La transizione verde è inevitabile
Francesco Starace, presidente e amministratore delegato di Enel è abituato a guardare avanti e parla del progetto per rendere la Sardegna prima isola a zero emissioni. «Portarci ora il gas è tardivo, bisogna andare avanti con le rinnovabili». Nessuno può fare da solo, ed Enel ha fatto un accordo con Terna. «La scelta della Sardegna è tra andare indietro di venti anni e poi trovarsi in difficoltà o andare avanti e aspettare che gli altri la raggiungano; nel Mediterraneo altre isole ci stanno pensando, come le Baleari. È in corso una trasformazione industriale profonda che trasforma l’economia mondiale con un cambio di utilizzo dei materiali e dell’energia che travolge tutto il sistema. La transizione verde è difficile e inevitabile, può avvenire in maniera turbolenta o ordinata, se imboccata bene può portare benefici, specie a chi si muove prima. Crea nuova occupazione, stimola l’imprenditoria, è una transizione sistemica che copre tutti i settori, è in corso in tutto il mondo, richiede grandi capitali all’inizio e pochi costi di gestione dopo».
L’economia cambia e dobbiamo accompagnare il cambiamento. La transizione verde impone decisioni, da come convertire le persone a fare altri lavori alle aziende che devono cambiare modelli di business. Eppure, in Italia, 432mila imprese hanno fatto il grande salto e investito nel green negli ultimi cinque anni: quelle che hanno creduto nell’ambiente esportano di più, innovano di più, creano più posti di lavoro e sono più resilienti. Nei green jobs ci sono 3,1 milioni di occupati (ovvero il 13,4%).
In una transizione giusta nessuno va lasciato indietro
Possiamo velocizzare la transizione verde? Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica, spiega che «stiamo giocando una partita sull’asse del tempo. Negli ultimi 150 anni di esplosione demografica siamo passati da 1 miliardo a 8 miliardi di persone, e a luglio cominciamo a usare le risorse dell’anno successivo. La nostra impronta ecologica è destinata ad aumentare con l’aumento della popolazione, molti paesi chiedono di crescere secondo modelli insostenibili, ma sembra che ce ne siamo accorti da poco. Il costo dei danni del cambiamento climatico in dieci anni è stato di 1200 miliardi di dollari e 400mila vite perdute, si è cominciato a contabilizzare qualcosa che era solo nell’aria. Sapiens è comparso 130mila anni fa e tutto si è mantenuto in equilibrio fino a 200 anni fa, con l’arrivo del motore a scoppio la CO2 è aumentata di 1000 volte».