Il 2018 è “l’anno della svolta”, perché “l’industria ha riacceso i motori”, l’export va meglio che mai, la crescita del Pil dell’1,5% del 2017 mostra di potersi ripetere sino al 2019, salgono redditi (+0,7% il reddito disponibile delle famiglie nel terzo trimestre 2017 rispetto all’anno precedente), potere d’acquisto (+1,1%), risparmi e investimenti, privati e pubblici. Diminuisce il carico fiscale (è al 40,3%, il livello più basso degli ultimi sei anni). I titoli de “IlSole24Ore” e del “Corriere della Sera” tra gli ultimi giorni di dicembre e i primi di gennaio sono ottimisti. Eppure in giro tira aria di scontentezza, di disagio, di crisi. Soldi in tasca ma musi lunghi. Perché?

Il rapporto Ipsos “Perils of perception” mette l’Italia in testa ai paesi europei per la distorta percezione di sé, al dodicesimo posto d’una classifica di 38 nazioni e che vede in maggior realismo. In sintesi: ci percepiamo negativamente, ci sottostimiamo, ci raccontiamo male.

È una conferma delle rilevazioni dell’ultimo Rapporto Censis che mette in evidenza l’emergere di una “Italia del rancore”, nonostante tutti i dati economici indichino oramai da qualche tempo una crescita della ricchezza e dei posti di lavoro, pur tra rilevanti squilibri territoriali e sociali. E su cui ha ritenuto doveroso insistere anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo messaggio di fine anno, sulla necessità di porre un argine all’Italia “del risentimento” e impegnarsi invece, in politica e nella società, per rafforzare i dati positivi che nonostante tutto emergono nel nostro Paese.