VALE IL 5% DELLA RICCHEZZA PRODOTTA E IMPIEGA 1,5 MILIONI DI PERSONE
UNO STUDIO UNIONCAMERE E FONDAZIONE SYMBOLA
‘PESA’ LA CULTURA NELL’ECONOMIA NAZIONALE
“NON SOLO BENI STORICO ARTISTICI, MA CREATIVITA’ E INNOVAZIONE
CHE ALIMENTANO INDUSTRIA E ARTIGIANATO”
AD AREZZO LA PALMA DI PROVINCIA IN CUI LA CULTURA PRODUCE PIU’ RICCHEZZA.
BENE ANCHE MILANO, ROMA E FIRENZE
Montepulciano, 1 luglio 2011. Frutta al Paese quasi il 5% della ricchezza prodotta (4,9%, per l’esattezza: 68 mld di euro) e dà lavoro a un milione e mezzo di persone (il 5,7% dell’occupazione nazionale). Superiore, ad esempio, al settore della meccanica e dei mezzi di trasporto. Eccola la risposta a chi sostiene che la cultura “non dà da mangiare”: è contenuta nello studio ‘L’Italia che verrà – Industria culturale, made in Italy e territori’. Realizzato da Unioncamere e da Fondazione Symbola e presentato oggi a Montepulciano durante la seconda giornata del seminario estivo della fondazione, è il primo rapporto in Italia a quantificare il peso della cultura nell’economia nazionale. Con risultati, spiegano i curatori, “che smentiscono chi la descrive come un settore statico e rivolto al passato, e la inquadrano invece come fattore trainante per molta parte dell’economia italiana, sicuramente una delle leve per ridare fiato ad un Paese in apnea”. Basti guardare la tendenza del triennio nero 2007-2010: la crescita del valore aggiunto delle imprese del settore della cultura è stata del 3%, 10 volte tanto l’economia italiana nel suo complesso (+0,3%). Dato che si riflette sul numero di occupati: saliti di quasi un punto percentuale (+0,9%, +13 mila posti) a fronte della pesante flessione del 2,1% subita a livello complessivo. Ancora: il saldo della bilancia commerciale del sistema produttivo culturale nel 2010 ha registrato un attivo per 13,7 miliardi di euro. A livello di economia complessiva, invece, la bilancia indicava -29,3 miliardi. L’export di cultura vale circa 30 miliardi di euro e rappresenta l’8,9% sull’export complessivo nazionale; l’import è pari a circa 16 miliardi di euro e costituisce il 4,5% del totale.
Una definizione ‘trasversale’ e ‘profonda’ di cultura. Il cuore della ricerca sta nel non limitare il campo d’osservazione ai settori tradizionali della cultura e dei beni storico-artistici, ma andare a guardare quanto contano cultura e creatività nel complesso delle attività economiche italiane nei centri di ricerca delle grandi industrie come nelle botteghe artigiane o negli studi professionali. Attraverso la classificazione in 4 macro settori: industrie culturali, industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design, made in Italy) patrimonio storico-artistico architettonico, e, infine, performing art e arti visive.
Il rapporto Unioncamere e Symbola, realizzato con l’apporto scientifico dell’Istituto Tagliacarne e la supervisione del Prof. Pierluigi Sacco, è quindi un viaggio tra cultura, creatività, ingegno e saper fare che va dalla Brianza del mobile all’occhialeria di Belluno; dalle oltre 1.000 radio che fanno dell’Italia il Paese con la più alta concentrazione di emittenti radiofoniche a livello europeo all’Emilia dei motori, delle piastrelle di Sassuolo e del biomedicale di Mirandola, dai tre importanti nuovi musei dedicati all’arte contemporanea il Museo del Novecento di Milano, il MACRO e il MAXXI di Roma all’Abruzzo dell’alta sartoria e della pasta alle calzature marchigiane fino a Napoli dove si concentrano le migliori sartorie di capospalla del mondo, dalla Toscana del marmo di Carrara, del tessile di Prato e della nautica di Lucca, alla nascente filiera dell’animazione fortemente votata all’export.
Geografia della cultura tricolore. Questo intreccio che dà slancio all’economia italiana ha nella provincia di Arezzo la sua capitale. Qui, infatti, il valore aggiunto della cultura è il più alto d’Italia: l’8,5% del totale prodotto dalla provincia (la media italiana è del 4,9%). Seguono Pordenone con l’8%, Vicenza col 7,8%, la provincia di Pesaro e Urbino col 7,5%. Poi ci sono Pisa (7,4%), Treviso (7,2%), Milano (7%), Roma (6,9%), Firenze (6,9%), Macerata (6,7%).
In una classifica per macroaree geografiche, è certamente il Nord-Ovest, per effetto anche del maggior peso nell’economia, a dare il contributo maggiore alla creazione di valore aggiunto di matrice culturale: garantisce, infatti, 34,1% del totale della ricchezza prodotta in Italia dal settore. Anche il Nord-Est (23,8%: soprattutto industrie creative, in cui ricadono l’artigianato manifatturiero e le principali attività collegate al made in Italy) ed il Centro (26,2%: con un forte peso delle industrie culturali) concorrono considerevolmente alla produzione di ricchezza del settore. Il Mezzogiorno fa invece la parte della cenerentola, con appena il 15,9%.
Quanto alle Regioni, in testa alla classifica per incidenza del valore aggiunto della cultura sul totale dell’economia c’è il Lazio (6,1%) seguito a stretto giro da Marche e Veneto (6%). Mentre per il Lazio sono le industrie culturali a fare la parte del leone, nel caso di Marche e Veneto sono le attività più tipiche del made in Italy (industrie creative) a fornire un contributo fondamentale. Scendendo nella classifica troviamo Friuli Venezia Giulia e Lombardia (5,7%), e, ancora sopra la media nazionale (4,9%) la Toscana (5,4%), e il Piemonte (5,0%). Sotto l’asticella della media nazionale ci sono Umbria ed Emilia Romagna (4,5%), Basilicata (4%), Abruzzo (3,9%), Trentino, Puglia e Campania (3,7%), Calabria (3,4%), Molise (3,3%), Liguria (3,1), Sardegna e Sicilia (2,8%) e Valle d’Aosta (2,5%).
“Leggendo i dati sulla ricchezza e l’occupazione prodotte dalla cultura, è evidente”, sottolinea Ferruccio Dardanello, presidente Unioncamere, “che la cultura non è solo passato, è anche presente, progresso, sostenibilità. Così come i nostri antenati hanno prodotto quegli elementi culturali di cui oggi ci fregiamo, dovremmo anche noi essere consapevoli che, proprio come chi ci ha preceduto, stiamo contribuendo ad arricchire il capitale culturale dell’Italia, a vantaggio delle generazioni future. E questo anche attraverso l’operato di migliaia di imprese, figlie della cultura e dei ‘saperi’ proprî del nostro territorio, i cui prodotti nascono dal connubio tra tradizione e innovazione e contribuiscono così alla diffusione di quei valori e significati che caratterizzano la società e l’economia italiana.”.
“Se qualcuno ha veramente sostenuto che ‘con la cultura non si mangia’ – aggiunge Ermete Realacci, presidente di Symbola- Fondazione per le qualità italiane – ha detto una cosa sbagliata, miope, contraria alla storia e al futuro del nostro paese”. Il rapporto presentato oggi “sta qui a dimostrarlo: l’industria culturale rappresenta, già oggi, parte significativa della produzione di ricchezza e dell’occupazione in Italia. Per non parlare dell’effetto indiretto ma potente, ed oggi non facilmente misurabile, che tutto il settore ha nel favorire il turismo e l’attrattiva dell’Italia nel mondo”. Sottovalutare la cultura è “miope – conclude – perché proprio l’intreccio tra cultura e bellezza è una delle radici più profonde e feconde della nostra identità e della competitività della nostra economia. Per questo, in un periodo di crisi, è discutibile una logica puramente contabile che taglia investimenti fondamentali per la creazione di valore.”.
I settori, i trend. Sono made in Italy, mass-media e performing arts a trainare il settore nell’ultimo triennio. Crescono le industrie creative (architettura, design, Made in Italy e comunicazione e branding), con un +2,9% di valore aggiunto e un +1% di occupazione. Risultati analoghi per le industrie culturali (mass-media, musica, videogiochi) con un +2,5% di valore aggiunto e uno +0,7% di occupazione. Notevole l’espansione delle perfoming arts e delle arti visive, che nel triennio fanno registrare +9,3% di valore aggiunto e +4,3% di occupazione. Segno meno, invece, per le imprese legate al patrimonio storico-artistico: -8,7% in valore aggiunto e -0,6% di occupati.
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